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Non è tutto loro quello che luccica

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13 de Out de 2023

Non è tutto loro quello che luccica

Published on : 13 Ottobre 2023 by Flavia Dell'Ertole

La piaga dei garimpeiros che per sfruttare la foresta amazzonica sono in grado di devastare un intero mondo, quello degli indigeni brasiliani
«I Bianchi raccontano che un portoghese ha detto di aver scoperto il Brasile molto tempo fa. Pensano davvero che sia stato il primo a vedere la nostra terra. [...] Sono nato nella foresta e ho sempre vissuto qui. Tuttavia, non dico di averla scoperta e che per questo voglio possederla». Sono le parole di Davi Kopenawa, sciamano yanomami che, da tutta la vita, combatte contro i garimpeiros, i cercatori d'oro che distruggono la terra del suo popolo, tra Brasile e Venezuela.
Quella dei garimpeiros è una piaga che i popoli indigeni del Sud America si trovano a dover affrontare dalla seconda metà del '900 quando i primi "bianchi" iniziarono a stabilirsi nei pressi del territorio yanomami, principalmente missionari cattolici ed evangelici. Con l'insediamento di persone europee gli indigeni vennero per la prima volta a contatto con numerose malattie che decimarono la popolazione; una volta scoperto che il terreno era ricco di oro, i cercatori si spinsero sempre più in profondità e solo negli anni '90 arrivarono i primi provvedimenti volti ad arginare il fenomeno dei garimpeiros. Era infatti il 1992 quando un decreto presidenziale, dopo anni di lotte, rese la terra brasiliana abitata dagli yanomami in usufrutto esclusivo e permanente al popolo, permettendo la cacciata dei cercatori d'oro. Non passò neppure un anno da quel momento storico e si compì una nuova strage: nel villaggio degli Haximu un gruppo di questi minatori illegali uccise 16 yanomami, tra cui un neonato. Ne scoppiò una protesta internazionale che portò alla condanna di cinque garimpeiros, ma solo due vennero arrestati.
Nonostante proteste e decreti, i garimpeiros sono attivi ancora oggi nel territorio yanomami e anzi, a causa delle politiche dell'ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro la corsa all'oro è ripresa negli ultimi anni con più forza che mai. Non a caso nel 2021 l'avvocato William Bourdon ha presentato, per conto dei leader indigeni Raoni Metuktire, capo della tribù Kayapó, e Almir Narayamoga Surui, capo dei Surui Paiter, una denuncia alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l'umanità per le politiche anti-indigeni dell'allora capo di Stato.
La politica di Bolsonaro è stata chiara fin dall'inizio del suo mandato. A pochi giorni dal suo insediamento, infatti, si è impegnato a trasferire la responsabilità per la demarcazione delle terre indigene dall'Agenzia per gli affari indigeni al Ministero dell'agricoltura. Eliminando di fatto il riconoscimento del diritto di collettività della terra yanomami l'ex presidente ha permesso che si aggirassero le leggi di tutela ambientale e dato la possibilità ad agricoltori e garimpeiros di sfruttare la terra, con deforestazione e sfruttamento minerario. Un generale clima di impunità verso chi si macchiasse di questi crimini durante la sua presidenza ha così portato a un aumento senza precedenti della deforestazione e una significativa perdita della biodiversità oltre allo spostamento, forzato, di comunità indigene a causa delle invasioni di taglialegna, cercatori d'oro e agricoltori.
Non solo il territorio ha subìto questa decisione: con i nuovi contatti (violenti, per lo più) tra "invasori" e indigeni, questi ultimi hanno contratto nuovamente malattie che hanno falcidiato la popolazione - in ultima il Covid-19 -; inoltre i cercatori d'oro utilizzano il mercurio per individuare il metallo prezioso, inquinando i fiumi e, di conseguenza, le comunità indigene che vivono nei pressi dei corsi d'acqua. «I minatori illegali ci intossicano con il mercurio, impiegato per separare l'oro dalla roccia. Il fiume Uraricoera è pieno di veleno. E anche noi» spiega Kopenawa nel libro Frontiera Amazzonica di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca. Secondo una ricerca condotta nel 2016 dalla Fondazione Oswaldo Cruz e dall'Instituto socioambiental, in alcune comunità yanomami la popolazione contaminata dal mercurio è, addirittura, il 92%.
Nel 2023, dopo l'insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva alla presidenza brasiliana il vento è cambiato. Appena eletto il presidente ha aperto un'indagine per crimini di genocidio, - per una strage avvenuta nello stato di Roraima che ha visto la morte di 570 indigeni - e ambientali, che ha fatto altresì emergere un quadro allarmante con moltissimi yanomami che presentavano una salute più che precaria. L'indagine non ha nel mirino solo i circa 20mila garimpeiros responsabili diretti del massacro, ma anche membri dell'amministrazione Bolsonaro e responsabili sanitari che non avrebbero garantito i servizi medici necessari. In seguito il presidente Lula ha dato il via a un'operazione militare per l'espulsione dei minatori criminali. Ad agosto 2023 il presidente brasiliano è stato il promotore e ha partecipato, insieme agli esponenti di Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela, al vertice dell'Amazzonia a Belém. L'esito del summit è stata la firma di un importante documento che sottolinea "l'urgenza di concordare obiettivi comuni per il 2030 per combattere la deforestazione e sradicare e fermare l'avanzata dell'estrazione illegale di risorse naturali" e si pone "l'obiettivo di promuovere la cooperazione regionale nella lotta alla deforestazione e impedire che l'Amazzonia raggiunga il punto di non ritorno, riconoscendo e promuovendo la realizzazione degli obiettivi nazionali".
Come detto, una delle voci più forti del popolo yanomami è quella di Davi Kopenawa la cui lotta si articola in diversi sensi; si legge nell'articolo Palavras de Omama, palavras de Teosi: l'autodeterminazione e la resistenza del popolo Yanomami - nel volume Discorsi di pace, metafore di guerra. Voci europee contro la guerra in storie di denuncia, fuga e accoglienza di C. Cadamagnani e M.E. Pérez Vázquez - scritto dal Dott. Matteo Migliorelli che "gli stereotipi e la narrazione storica distorta degli occidentali continuano a influenzare il mondo civilizzato, cristallizzando l'indigeno nel ruolo di vittima". Lo sciamano in questo senso ha ribaltato questo ruolo sposando la lotta, una lotta che lo ha portato a modificare usi e costumi propri del suo popolo da sempre - la cultura yanomami è orale e lo sciamano, insieme all'antropologo Bruce Albert, ha scritto un libro - e per far conoscere a quanti più "bianchi" possibili la carneficina degli yanomami. Davi Kopenawa ha deciso di utilizzare la lingua degli "invasori", il portoghese; Migliorelli sottolinea che "la resistenza linguistica all'adozione del portoghese deve allentarsi, in modo da utilizzare il mezzo linguistico dell'Altro per autodeterminarsi". Ogni strumento di lotta contro questo capitalismo predatorio è, dunque, più che utile assolutamente necessario per ribadire l'autodeterminazione, la libertà, semplicemente, la vita. Che non sia sola sopravvivenza.

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